Corte di giustizia sent. 7 ottobre 2004-causa c-247-2002
«Direttiva 93/37/CEE – Appalti pubblici di lavori – Aggiudicazione degli appalti – Diritto
dell'amministrazione aggiudicatrice di optare tra il criterio del prezzo più basso e quello
dell'offerta economicamente più vantaggiosa»
Nel procedimento C-247/02, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'art. 234 CE, dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia con decisione 26 giugno 2002, pervenuta in cancelleria l'8 luglio 2002, nella causa Sintesi SpA Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici, Ingg. Provera e Carassi SpA,
composta dai sigg. C.W.A. Timmermans, presidente di sezione, J.-P. Puissochet e R. Schintgen (relatore), dalle sig.re F. Macken e N. Colneric, giudici, avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl cancelliere: sig.ra M. Múgica Arzamendi, amministratore principale vista la fase scritta del procedimento e in esito all'udienza del 19 maggio 2004, viste le osservazioni scritte presentate: – per Sintesi SpA, dagli avv.ti G. Caia, V. Salvadori e N. Aicardi; – per la Ingg. Provera e Carrassi SpA, dall'avv. M. Wongher; – per il governo italiano, dall'avv. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dall'avv. M. Fiorilli, avvocato dello Stato; – per il governo ellenico, dai sigg. S. Spyropoulos e D. Kalogiros, nonché dalla sig.ra D. Tsagkaraki, in qualità di agenti; – per il governo austriaco, dal sig. M. Fruhmann, in qualità di agente; – per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. K. Wiedner, R. Amorosi e A. Aresu, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell'avvocato generale presentate all'udienza dell'1 luglio 2004,
Sentenza
La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 30, n. 1, della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori (GU L 199, pag. 54; in prosieguo: la «direttiva»).
Tale domanda è stata sollevata nell’ambito di una controversia tra la Società Sintesi SpA (in prosieguo: la «Sintesi») e l’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici (in prosieguo: l’«Autorità») in merito all’aggiudicazione di un appalto di lavori pubblici effettuato in base a licitazione privata. Contesto normativo La normativa comunitaria
Ai sensi del secondo ‘considerando’ della direttiva, «(…) la realizzazione simultanea della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi in materia di appalti di lavori pubblici aggiudicati negli Stati membri per conto dello Stato, degli enti pubblici territoriali e di altri enti di diritto pubblico richiede, parallelamente all’eliminazione delle restrizioni, il coordinamento delle procedure nazionali di aggiudicazione di tali appalti».
L’art. 30, n. 1, della direttiva così recita: «I criteri sui quali l’amministrazione aggiudicatrice si fonda per l’aggiudicazione dell’appalto sono: a) o unicamente il prezzo più basso; b) o, quando l’aggiudicazione si fa a favore dell’offerta economicamente più vantaggiosa, diversi criteri variabili secondo l’appalto: ad esempio il prezzo, il termine di esecuzione, il costo di utilizzazione, la redditività, il valore tecnico». La normativa nazionale
L’art. 30, n. 1, della direttiva è stato trasposto nell’ordinamento italiano per mezzo dell’art. 21 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (GURI 19 febbraio 1994, n. 4, pag. 5; in prosieguo: la «legge n. 109/1994»), che costituisce la legge quadro in materia di lavori pubblici in Italia.
L’art. 21, primo e secondo comma, della legge n. 109/94, nel testo vigente alla data dei fatti della causa principale, così dispone: «Criteri di aggiudicazione – Commissioni giudicatrici 1.
L’aggiudicazione degli appalti mediante pubblico incanto o licitazione privata è effettuata
con il criterio del prezzo più basso, inferiore a quello posto a base di gara, determinato: (…) 2.
L’aggiudicazione degli appalti mediante appalto-concorso nonché l’affidamento di
concessioni mediante licitazione privata avvengono con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, prendendo in considerazione i seguenti elementi variabili in relazione all’opera da realizzare: (…)». Causa principale e questioni pregiudiziali
Nel febbraio del 1991 il Comune di Brescia affidava alla società Sintesi, per mezzo di una convenzione di concessione, la costruzione e la gestione di un parcheggio sotterraneo.
La convenzione conclusa, nel dicembre 1999, tra il Comune di Brescia e la Sintesi prevedeva l’obbligo per la società concessionaria di aggiudicare l’esecuzione dei lavori tramite licitazione privata da esperirsi mediante gara europea, secondo la normativa comunitaria vigente in materia di lavori pubblici.
Con bando di gara pubblicato in data 22 aprile 1999 nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, la Sintesi indiceva una gara d’appalto da aggiudicarsi mediante licitazione privata sulla base dell’offerta economicamente più vantaggiosa, offerta da valutarsi sulla base del prezzo, del valore tecnico e del tempo necessario alla realizzazione dell’opera.
A seguito della fase di preselezione, la Sintesi trasmetteva alle imprese selezionate la lettera di invito alla presentazione delle offerte e, in allegato, la documentazione di gara. La Ingg. Provera e Carrassi SpA (in prosieguo: la «Provera»), rientrante tra le società invitate alla presentazione delle offerte, chiedeva ed otteneva una proroga del termine di consegna. Tuttavia, la detta società comunicava successivamente che non avrebbe partecipato alla gara, ritenendola illegittima.
Il 29 maggio 2000, individuata l’offerta economicamente più vantaggiosa, la Sintesi procedeva all’aggiudicazione dell’appalto.
A seguito di una nuova denuncia da parte della Provera, l’Autorità comunicava alla Sintesi, con lettera del 26 luglio 2000, che considerava la procedura di aggiudicazione dell’appalto di cui trattasi non conforme alla legge n. 109/1994 e, in data 7 dicembre 2000, emetteva la determinazione n. 53/2000 che così recita: «1)
Nel sistema di legge quadro sui lavori pubblici n. 109/1994, l’aggiudicazione dei pubblici
appalti può avvenire soltanto con l’applicazione del criterio del prezzo più basso, essendo possibile fare ricorso a quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa nelle sole ipotesi dell’appalto-concorso e della concessione di costruzione e gestione di lavori pubblici; 2)
le regole indicate trovano applicazione nel caso di appalti di lavori di qualsiasi importo e
non soltanto inferiore alla soglia comunitaria, e la relativa disciplina non può ritenersi contrastante con il comma 1 dell’art. 303 della direttiva del Consiglio 93/37/CEE (…); 3)
qualora, nei casi consentiti dalla legge e diversi da quello preso in esame, nella concreta
applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa sia prevista la valutazione del valore tecnico, per consentire detta valutazione occorre che il progetto sia modificabile da parte dei concorrenti».
La Sintesi impugnava questa determinazione dinanzi al giudice del rinvio deducendo in particolare un motivo attinente alla violazione dell’art. 30, n. 1, della direttiva.
Essa osservava che la menzionata disposizione metteva sullo stesso piano i due criteri di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici, vale a dire il criterio del «prezzo più basso» e quello dell’«offerta economicamente più vantaggiosa». Escludendo, sulla base della legge quadro n. 109/1994, il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa nei casi di gara d’appalto di lavori pubblici da esperirsi tramite licitazione privata, l’Autorità avrebbe violato l’art. 30, n. 1, della direttiva.
Il giudice del rinvio osserva che l’art. 21, primo comma, della legge n. 109/1994 risponde ad una finalità di trasparenza delle gare d’appalto dei lavori pubblici, chiedendosi tuttavia se tale disposizione possa garantire la libera concorrenza, atteso che l’elemento del prezzo non sembra essere di per sé sufficiente ad assicurare l’individuazione della migliore offerta.
Il giudice del rinvio sottolinea parimenti che il parcheggio di cui trattasi sarà situato nel centro storico della città di Brescia. Conseguentemente, l’opera da realizzare sarebbe molto complessa e richiederebbe una valutazione di elementi tecnici, che dovrebbero essere fornite dalle imprese concorrenti, per consentire di individuare l’impresa più idonea alla quale affidare conseguentemente i lavori.
Ciò premesso, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia decideva di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le due seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se l’art. 30, n. 1, della direttiva (…), laddove attribuisce alle singole Amministrazioni aggiudicatici la scelta del criterio d’aggiudicazione, individuato alternativamente nel prezzo più basso o nell’offerta più vantaggiosa, costituisca conseguente applicazione del principio di libera concorrenza già sancito dall’art. 85 [divenuto art. 81 CE] del Trattato, che esige che ogni offerta nelle gare indette all’interno del mercato unico sia valutata in modo che non sia impedito, ristretto o falsato il confronto fra le [offerte] stesse. 2) Se, in via strettamente conseguente, l’art. 30 della direttiva (…), osti a che l’art. 21 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, precluda per l’aggiudicazione degli appalti a procedura aperta e ristretta in materia di lavori pubblici la scelta da parte delle Amministrazioni aggiudicatici del criterio dell’offerta più vantaggiosa, prescrivendo in via generale solo quello del prezzo più basso». Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale
Il governo italiano dubita della ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale sulla base del rilievo che le questioni sollevate sarebbero puramente teoriche.
La Commissione delle Comunità europee s’interroga sull’applicabilità stessa dell’art. 30 della direttiva nella causa principale, considerato che il procedimento di aggiudicazione sarebbe stato avviato da un concessionario di lavori.
La Commissione sottolinea che, ai sensi dell’art. 3, nn. 3 e 4, della direttiva, solamente il concessionario di lavori pubblici che sia esso stesso una delle amministrazioni aggiudicatici di cui all’art. 1, lett. b), della direttiva è tenuto, per i lavori da eseguirsi da parte di terzi, al rispetto di tutte le disposizioni della direttiva. Per contro, i concessionari di lavori pubblici diversi dalle amministrazioni aggiudicatici sarebbero unicamente tenuti al rispetto delle regole di pubblicità previste dall’art. 11, nn. 4, 6, 7 e 9-13, nonché dall’art. 16 della direttiva.
A tal riguardo, secondo costante giurisprudenza, il procedimento di cui all’art. 234 CE è uno strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali (v., in particolare, le sentenze 16 luglio 1992, causa C-343/90, Lourenço Dias, Racc. pag. I-4673, punto 14, e 18 marzo 2004, causa C-314/01, Siemens e ARGE Telekom, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 33, nonché i riferimenti di giurisprudenza ivi richiamati).
Nell’ambito di tale cooperazione, il giudice nazionale, che è l’unico ad avere conoscenza diretta dei fatti in causa e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, è nella situazione più idonea per valutare, tenuto conto delle peculiarità della causa stessa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte (v., segnatamente, le sentenze Lourenço Dias, cit., punto 15; 22 gennaio 2002, causa C-390/99, Canal Satélite Digital, Racc. pag. I-607, punto 18, nonché Siemens e ARGE Telekom, cit., punto 34).
Nella specie, non è affatto evidente che l’interpretazione dell’art. 30 della direttiva sia priva di ogni utilità ai fini della soluzione della causa principale, considerato che, come emerge dalla decisione di rinvio, la convenzione conclusa tra il Comune di Brescia e la Sintesi ha imposto a quest’ultima, nella sua qualità di concessionaria, l’obbligo di indire, ai fini dell’esecuzione dei lavori oggetto della causa principale, una gara da esperirsi mediante licitazione privata, su scala europea, ai sensi della normativa comunitaria in materia di lavori pubblici.
Si deve pertanto ritenere che la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile. Sulle questioni pregiudiziali
Con le questioni sottoposte alla Corte, che appare opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l’art. 30, n. 1, della direttiva debba essere interpretato nel senso che osti ad una normativa nazionale che, ai fine dell’aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici, mediante procedure di gara aperte o ristrette, imponga all’amministrazione aggiudicatrice di ricorrere al solo criterio del prezzo più basso. In particolare, il detto giudice chiede se l’obiettivo perseguito dalla detta disposizione, diretta ad istituire una concorrenza effettiva nel settore degli appalti pubblici, implichi necessariamente una soluzione affermativa a tale questione. Osservazioni presentate alla Corte
A parere della Sintesi, l’art. 30, n. 1, della direttiva, nella parte in cui lascia all’amministrazione aggiudicatrice – per quanto attiene al criterio di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici – la libera scelta tra il prezzo più basso e l’offerta più vantaggiosa, costituisce attuazione del principio di libera concorrenza. Ridurre il margine di discrezionalità di tale potere ad una mera analisi dei prezzi proposti dalle imprese offerenti, come imposto dall’art. 21, primo comma, della legge n. 109/1994, costituirebbe un ostacolo alla selezione della migliore offerta possibile e si porrebbe, quindi, in contrasto con l’art. 81 CE.
La Provera ed il governo italiano deducono che, con l’emanazione della legge n. 109/1994, il legislatore nazionale ha inteso, in particolare, lottare contro la corruzione nel settore dell’aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici, eliminando il margine di discrezionalità dell’amministrazione nell’aggiudicazione dell’appalto e stabilendo procedure trasparenti idonee a garantire la libera concorrenza.
L’art. 30, n. 1, della direttiva, come emergerebbe dal suo tenore stesso, non riconosce minimamente all’amministrazione aggiudicatrice la libera scelta di un criterio piuttosto che un altro, né impone tantomeno l’utilizzazione dell’uno o dell’altro criterio in talune circostanze specifiche. Tale disposizione si limiterebbe ad enunciare i due criteri di aggiudicazione applicabili, senza precisare le fattispecie in cui occorra utilizzarli.
Inoltre, la scelta, da parte del legislatore nazionale, del criterio del prezzo più basso nelle procedure di gara aperte o ristrette non lederebbe i diritti delle imprese offerenti, atteso che lo stesso criterio, definito a priori, si applicherebbe ad ognuna di esse.
Tale interpretazione è condivisa dai governi ellenico e austriaco.
In particolare, a parere del governo austriaco, l’art. 30 della direttiva non indica in alcun modo all’amministrazione aggiudicatrice in base a quale dei due criteri, collocati su un piano di parità, debba essere usato per operare la scelta. La direttiva affiderebbe in tal modo all’amministrazione stessa il compito di stabilire il criterio in base al quale intenda conseguire, in considerazione delle proprie esigenze, il miglior rapporto qualità/prezzo. Tuttavia, tale disposizione non escluderebbe che, in considerazione della natura degli appalti di cui trattasi, il legislatore nazionale proceda esso stesso direttamente a tale scelta, autorizzando o i due criteri o uno solo di essi, dato che la direttiva non attribuisce all’amministrazione aggiudicatrice alcun diritto soggettivo all’esercizio di tale scelta.
La Commissione ritiene parimenti che la direttiva non esprima alcuna preferenza a favore dell’uno o dell’altro dei due criteri previsti dall’art. 30, n. 1, della direttiva. Quest’ultima disposizione mirerebbe unicamente ad evitare che l’amministrazione aggiudicatrice adotti criteri di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici diversi dai due ivi menzionati, senza peraltro imporre alcuna scelta tra i due criteri medesimi. Per evitare comportamenti arbitrari da parte dell’amministrazione aggiudicatrice e garantire una concorrenza sana tra le imprese, resterebbe irrilevante, in linea di principio, che l’appalto venga aggiudicato sulla base del prezzo più basso o dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Occorrerebbe, inoltre, che tali criteri di aggiudicazione siano chiaramente indicati nel bando di gara e applicati in modo oggettivo e non discriminatorio.
La scelta del criterio appropriato spetterebbe all’amministrazione aggiudicatrice, sulla base di un esame da effettuarsi caso per caso all’atto dell’aggiudicazione di ogni specifico appalto, ovvero al legislatore nazionale, il quale ben potrà emanare una normativa applicabile a tutti gli appalti di lavori pubblici ovvero solamente a taluni tipi di appalti.
La Commissione osserva che, nella specie, l’art. 21, primo comma, della legge n. 109/1994 impone il ricorso al criterio del prezzo più basso al fine di garantire la maggiore trasparenza possibile delle operazioni relative agli appalti di lavori pubblici, il che sarebbe conforme all’obiettivo perseguito dalla direttiva, consistente nel garantire lo sviluppo di una concorrenza effettiva. Una siffatta disposizione non sarebbe quindi in contrasto con l’art. 30, n. 1, della direttiva. Risposta della Corte
Si deve rilevare che la direttiva, come emerge dal suo secondo ‘considerando’, mira a garantire lo sviluppo di una concorrenza effettiva nel settore degli appalti di lavori pubblici (v. sentenze 16 settembre 1999, causa C-27/98, Fracasso e Leitschultz, Racc. pag. I-5697, punto 26; 27 novembre 2001, cause riunite C-285/99 e C-286/99, Lombardini e Mantovani, Racc. pag. I-9233, punto 34, e 12 dicembre 2002, causa C-470/99, Universale-Bau e a., Racc. pag. I-11617, punto 89).
Tale obbiettivo è d’altronde espressamente menzionato all’art. 22, n. 2, secondo comma, della direttiva, ai termini del quale, quando le amministrazioni aggiudicatici attribuiscono un appalto mediante procedura ristretta, il numero di candidati ammessi a presentare offerte dev’essere, in ogni caso, sufficiente ad assicurare una concorrenza reale.
Nel perseguire l’obiettivo di sviluppo di una concorrenza effettiva, la direttiva mira ad organizzare l’attribuzione degli appalti in modo tale che l’amministrazione aggiudicatrice sia in grado di comparare diverse offerte e scegliere la più vantaggiosa in base a criteri obiettivi (v. la sentenza Fracasso e Leitschutz, cit., punto 31).
Per tale motivo l’art. 30 della direttiva detta al n. 1, i criteri sui quali l’amministrazione aggiudicatrice si deve basare nell’aggiudicazione dell’appalto, vale a dire o unicamente il prezzo più basso o, quando l’aggiudicazione venga fatta a favore dell’offerta economicamente più vantaggiosa, diversi criteri variabili a seconda dell’appalto, quali il prezzo, il termine di esecuzione, il costo di utilizzazione, la redditività, il valore tecnico.
Una disposizione nazionale, come quella oggetto della causa principale, che restringe la libertà di scelta dell’amministrazione aggiudicatrice, nell’ambito delle procedure di gara aperte o ristrette, imponendo il ricorso al prezzo più basso quale unico criterio di aggiudicazione, non impedisce alle amministrazioni aggiudicatici di procedere al raffronto tra le singole offerte e di individuare la
migliore sulla base di un criterio oggettivo preventivamente fissato, ricompreso appunto tra quelli indicati all’art. 30, n. 1, della direttiva.
Tuttavia, la fissazione da parte del legislatore nazionale, in termini generali ed astratti, di un unico criterio di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici priva le amministrazioni aggiudicatici della possibilità di prendere in considerazione la natura e le caratteristiche peculiari di tali appalti, isolatamente considerati, scegliendo per ognuno di essi il criterio più idoneo a garantire la libera concorrenza e ad assicurare la selezione della migliore offerta.
Nella causa principale il giudice del rinvio ha proprio sottolineato la complessità, sul piano tecnico, dell’opera da realizzare e, conseguentemente, l’amministrazione aggiudicatrice avrebbe potuto tener utilmente conto di tale complessità scegliendo criteri di aggiudicazione dell’appalto oggettivi, come quelli indicati, a titolo esemplificativo, all’art. 30, n. 1, lett. b), della direttiva.
Dalle suesposte considerazioni emerge che le questioni pregiudiziali devono essere risolte affermando che l’art. 30, n. 1, della direttiva dev’essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale la quale, ai fini dell’aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici mediante procedure di gara aperte o ristrette, imponga, in termini generali ed astratti, alle amministrazioni aggiudicatici di ricorrere unicamente al criterio del prezzo più basso. Sulle spese
Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute per presentare osservazioni alla Corte, diverse da quelle delle dette parti, non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara: L’art. 30, n. 1, della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici, dev’essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale la quale, ai fini dell’aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici mediante procedure di gara aperte o ristrette, imponga, in termini generali ed astratti, alle amministrazioni aggiudicatici di ricorrere unicamente al criterio del prezzo più basso.
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