Microsoft word - felici si diventa work in progress luglio 2009

La formula della felicità Psicologia del quotidiano – Rosella De Leonibus Mi colpisce ogni giorno osservare quanta infelicità circola nelle strade e nelle case delle nostre ricche e belle città, e mi colpisce ogni volta l’inettitudine alla felicità che noi umani mostriamo, in particolare quando abbiamo, per così dire, “tutto quel che serve per essere felici”. In parecchi, qui nell’occidente industrializzato e colto, conosciamo il benessere, ma è di tutta evidenza che questo non ha praticamente alcun legame col sentimento della felicità. Viviamo in molti in condizioni che corrispondono all’idea di felicità che è presente nella mente di quanti non partecipano di questa situazione: case più che decenti, una sufficiente base di tranquillità economica, speranza di vita lunga, buon cibo, talvolta perfino troppo, istruzione, tempo libero, vacanze, divertimenti, contatti….cioè in situazioni che corrispondono a quelli che sono i desideri di felicità di chi ci guarda, per esempio da altri continenti o semplicemente dall’altra sponda dell’adriatico. Abbiamo realizzato molti dei sogni della generazione del dopoguerra, molte cose che sarebbero sembrate impossibili soltanto ai nostri nonni, abbiamo conosciuto il benessere, e invece non siamo così felici come forse potevamo sperare di diventare. C’è una sfumatura particolare di malessere che accompagna l’esaudimento dei desideri. Come uno
studente dopo un esame, come un atleta dopo una gara che ha richiesto lunghi mesi di
allenamento. E’ una sensazione di vuoto, come di sentirsi sospesi a mezz’aria. Molte persone si
sentono addirittura un po’ depresse, dopo aver conseguito risultati importanti. Forse anche la società
in cui viviamo sta attraversando una situazione depressiva, un passaggio dove la maggioranza delle
persone si trova a corto di sogni, di progetti, di speranze, di slanci. Lo vediamo più chiaro proprio
nelle fasce di età in cui dare senso alla vita è più che mai importante, in cui lo slancio verso una
meta è fondamentale per continuare ad aver voglia di crescere e di vivere. Nelle società
industrializzate un bambino su cinque soffre di un qualche disturbo della condotta, delle emozioni,
dell’apprendimento o dell’umore. Per poi ricevere spesso come unica risposta al suo malessere una
delle varie pillole della felicità in commercio. L’agenzia americana per i farmaci ha autorizzato a
trattare col Prozac i bambini e gli adolescenti depressi. Per gli adulti, invece, una ricerca inglese
svolta per conto di una compagnia di viaggi ha scoperto la formula che misura il quoziente di
felicità: basta calcolare e moltiplicare le variabili chiave, come le caratteristiche personali (visone
della vita, capacità di recupero e adattabilità), i bisogni esistenziali (salute, denaro, amici) e,
vivaddio, anche qualche bisogno “superiore” (senso dell’umorismo, ambizione, autostima). Se
l’equazione non torna, coraggio, c’è sempre la pillola.
La storia dei tre spaccapietre.
C’è una vecchissima storiella, che racconta di uomo che, recatosi in pellegrinaggio in una grande
città del passato, vece per strada un tipo sudatissimo, stremato, che sta spaccando pietre. Si avvicina
e gli chiede: “Che cosa state facendo, buon uomo?” E il tipo: “Vedete, signore, sto spaccando
pietre. E’ dura, ho mal di schiena, ho sete, ho caldo. faccio un mestiere da cani, non sono più un
uomo…” Il pellegrino prosegue, e vede più lontano un altro tipo, anche lui sta spaccando pietre, ma
non ha l’aria così malmessa come il primo. “Cosa fate, buon uomo?” “Eh, si, mi sto guadagnando la
giornata! Spacco pietre, non ho trovato un lavoro migliore per dar da mangiare alla mia famiglia,
ma sono contento che almeno ho questo qua!”. Il pellegrino continua e si avvicina ad un terzo
uomo. Anche lui sta tagliando pietre, ma è sorridente, energico, sereno. “Cosa fate, buon uomo?” E
il tipo risponde: “Ah, caro amico, io sto costruendo una cattedrale!”
Ecco, è la possibilità di dare senso alle cose che fa la differenza, è il significato che costruiamo
intorno alle nostre esperienze che ci permette di essere felici, e che se manca ci condanna alla deriva
del vuoto, della contingenza più retriva, di un presente che , per quanto neutro, o addirittura
abbastanza buono, non nutre il nostro sé, non attiva alcuna energia vitale. E attribuire significato a
ciò che sperimentiamo, inscrivere la nostra esistenza in un percorso che ha un senso, dipende dalla
nostra storia personale, ma anche dal contesto sociale e dal clima familiare, specialmente se siamo bambini o adolescenti. Non stiamo affermando che le condizioni di difficoltà (spaccare pietre) di per sé danno sapore alla vita. Quando c’è la fame, l’ingiustizia, la sofferenza fisica, il lutto, la felicità non è possibile. Ma quando i mali del mondo e della vita sono stati sciolti o affrontati e allontanati, allora il lavoro per costruire lo spazio per la felicità non è finito. Ci vuole un contesto familiare, sociale e culturale che sostenga la costruzione di un senso delle cose, della vita stessa. Senza di che nessun essere umano è in grado di costruire la sua identità. E quindi, non avendo il recipiente, non può contenere niente, certo non la felicità, ma ahimè, neppure la frustrazione e il dolore. Io posso essere un bambino sereno e felice solo a patto che, tornato da scuola, dopo aver mangiato a sufficienza e aver giocato, io possa essere aiutato anche a fare i miei conti con la vita, incontrare prove che posso affrontare, raccontare come mi è andata, fare progetti e mettermi al lavoro per realizzarli, incontrare il mondo e confrontarmi coi suoi misteri e le sue sfide. Altrimenti crescerò, mi spunteranno i baffi o il seno a seconda dei casi, ma non avrò ancora avuto la possibilità di subire una sconfitta, o di conquistarmi una vittoria, di sapere cosa sento e come mi vivo questi eventi, non avrò costruito un solo briciolo di solida identità. E allora, pur di vivere qualche esperienza, a quindici, diciotto anni mi lascerò facilmente catturare da tutto ciò che mi promette di trovare, anche in modo fittizio, un’identità e delle emozioni, pur di sperimentarmi in qualche modo, pur si “sentirmi”, pur di avere qualche esperienza da raccontare a me stesso, una trama qualunque su cui tessere un simulacro di identità. E se non ho fatto lo sforzo di cercare un senso per la mia vita, e per caso sono un adulto, quando, una volta risolti i problemi materiali della vita, mi sentissi scivolare dentro quella sensazione di vuoto e di inutilità, sarò invece attratto dalla chimica della felicità, che si chiami Prozac o alcool, anfetamina o adrenalina da stress. Il punto è che mentre il benessere è una sensazione collegata alla percezione del presente, la felicità è tutta nel teatro della mente, è sempre il frutto di una elaborazione, è qualcosa che richiede una progettualità. E’ lo stesso identico problema che c’è nel sentimento depressivo: l’orizzonte del significato si chiude, il futuro non è più là davanti a me, sono schiacciato nel presente, e ciò non fa bene agli umani. La nostra società depressa non è malata del suo presente, è malata di mancanza di futuro. E’ malata della mancanza di una rappresentazione di futuro. In questa ottica ci possiamo accorgere bene quanto siano corte le gambe (e lungo il naso) della “felicità obbligatoria”, dell’imperativo all’ottimismo e al sorriso che domina la comunicazione pubblicitaria e quella mediatica in generale. Sii giovane, bello, sii in forma, sorridente, abbi successo, e sarai felice. Provaci, tutti ci proviamo prima o poi, ma devi correre sempre, stordirti di stimoli, perché appena ti fermerai, o perderai un po’ terreno, quando per una ragione o per l’altra smetterai di sorridere, allora inevitabilmente la realtà assumerà un sapore molto amaro. La ricerca della felicità immediata e a buon prezzo distrugge la cattedrale nella nostra mente. Uno psicanalista una volta affermò che l’uomo detesta due cose: la libertà e la felicità: Forse perché richiedono entrambe molto lavoro interiore, molta maturità, molta attesa, fiducia, pazienza, investimento a lungo termine, fatica, coraggio. La felicità non è una tappa da conseguire, o un oggetto da acchiappare. E’ una cattedrale che sta nella mia mente quando ancora sto spaccando le pietre per le sue fondamenta. E che non potrò mai costruire da solo/a. E perciò richiederà tutta la mia intenzionalità consapevole, il mio sforzo, la mia creatività per far fronte ai vari ostacoli, la mia capacità di adattamento per trovare le formule per lavorare con gli altri, visto che da solo/a non ce la potrei mai fare a realizzarla. Si costruisce nel tempo e nella condivisione, e anche nel conflitto. Non è qui, dietro l’angolo, già pronta da comprare. E’ nel sogno che mi slancia verso il futuro, è nell’avventura che vivo per costruirla.

Source: http://www.abbandoneraiaderirai.it/AA/Psicologia%20del%20quotidiano.pdf

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ROCHESTER, NEW HAMPSHIRE Recommendations for Treating a Dwelling for Bed Bugs Treating a dwelling for bed bugs can be very difficult. Before beginning, confirm that bed bugs are indeed present. If the bed bug infestation is large, or if you are unsure about treating, contact a licensed pest control operator. Pest control operators are listed in the Yellow Pages of your phone book. If you de

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Rep. Patrick M. Natale, Esq. Room 167 The State House Boston, MA 02133 – 1020 Dear Representative Natale: I do not know if you perused the article in the Boston Globe on 7/3/06 regarding “nursing homes seen [as] deficient on basic care” by Alice Dembner; but allow me to reiterate certain salient points. According to this article “[m]ore than one-third of all hospitalizations of nursing ho

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